Dissolvenze e inquadrature per raccontare la poeasia di Cappello e la semplicità ombrosa delle genti friulane.
Prima di essere un documentario, è la dolce collisione tra gli occhi di una regista e le parole di un poeta. Lei, Francesca Archibugi, offre il suo sguardo, costruisce l’ascolto; lui, Pierluigi Cappello, offre la sua identità sorridente, restituisce la complessa naturalezza di chi è nato «al di qua di questi fogli». Vita e creazione letteraria: quali distanze alimentano il rapporto? E di quali vicinanze, invece, si nutre?
La telecamera cerca risposte facendo sempre un passo indietro, con affettuoso pudore, e documenta la verità, la realtà, senza mai ricorrere a sovrastrutture intellettuali o cinematografiche. Il montaggio racconta, non estetizza, la musica di Battista Lena diventa scansione narrativa, non arreda i silenzi, e la piccola storia di Pierluigi, che è necessariamente anche la grande storia di una terra e di un popolo, scorre sullo schermo così come scorre nella quotidianità. Le radici friulane e le testimonianze divertite degli amici. I luoghi e i ricordi. L’ombra scura del 1976 e il profilo verde delle montagne. La sedia a rotelle che spezza la libertà di un sedicenne e disegna, millimetro dopo millimetro, la libertà di un uomo. Di un poeta. Di un guerriero mite e gentile che abita «fra l’ultima parola detta e la prima nuova da dire».
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Note di regia
La prima volta che ho incontrato Pierluigi Cappello è stato due anni fa, quando ho comprato la raccolta di poesie Mandate a dire all’imperatore con cui aveva appena vinto il Premio Viareggio. Non sono un’esperta di poesia, ma una lettrice appassionata. Mi serve avere un libro di poesia contemporanea sul comodino, perché è il più forte antidoto contro l’ansia e la noia. Mi sono avvicinata a Pierluigi quando è diventato il mio compagno di comodino. Non ci conoscevamo, eppure eravamo già intimi. Le poesie di Cappello sono piene di immagini e forse le ho perfino sognate. Non sapevo nulla della sua vicenda personale, dell’incidente di moto a sedici anni e della sua vita in carrozzina da allora. Nessun indizio dalle poesie, perché nei suoi versi Pierluigi corre. E, a volte, vola.
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Bio del regista
Francesca Archibugi.
Romana, classe 1960, Francesca Archibugi ha studiato psicologia all’università di Roma e si è diplomata in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia. Ha lavorato come sceneggiatrice e ha girato alcuni cortometraggi per la RAI tra i quali Il vestito più bello, per il Comune di Roma, come La piccola avventura e per Ipotesi Cinema Olmi, per il quale ha diretto Il sogno truffato. Nel 1985 ha vinto il Premio Solinas.
Biografia
Vincitrice del Premio Solinas nel 1985, ha diretto diversi cortometraggi per RAI, per il Comune di Roma e per Ipotesi Cinema Olmi.